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Uno strumento per migliorare le nostre relazioni conflittuali.

2017-12-15 11:41

Salvatore D\'Angelo

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Genitori, figli, partner, colleghi, superiori: spesso, nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a modificare gli atteggiamenti dell’altro che ci fanno star mal

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In qualsiasi tipo di relazione - dalla più intima alla piùformale, con persone verso le quali sentiamo di essere profondamentecoinvolti a livello emotivo, o con chi intratteniamo un rapportosuperficiale - può capitare di doversi confrontare con persone chevorremmo si comportassero in maniera diversa con noi: a volte leproviamo tutte per tentare di fargli cambiare atteggiamento, maproprio non ci riusciamo e, anzi, più ci proviamo più sembra che ilrapporto diventi difficile. 
Ad esempio, quando ho a che fare con pazienti adolescenti, spesso silamentano del fatto che i genitori non gli permettono di fare ciòche vogliono, oppure che pretendono di dirgli come devono fare lecose, e in generale come devono vivere la loro vita. Ciò che midicono è "I miei genitori non si fidano di me, pensano che semi lasciano fare ciò che voglio finirò per fare qualcosa disbagliato" oppure "I miei genitori pensano che io sia unincapace, e che non sono in grado di scegliere cosa è meglio perme". 
Altro esempio: pazienti adulti che mi raccontano di partnerintrusivi, che li contattano di continuo per sapere dove sono e conchi, oppure che vogliono leggere tutte le loro conversazioni sultelefonino. Quando gli chiedo, secondo loro, come mai i partner hannoquesto atteggiamento, mi rispondono cose del tipo "Perché devesempre controllare tutto" oppure "Perché non ha fiduciain me".
Prova a pensarci, cosa manca in entrambi gli esempi? 
Quello che di solito facciamo in queste situazioni è chiedereall’altro di smetterla di avere questi atteggiamenti con noi. Spessoiniziamo con calma a spiegargli che ci dà fastidio, che ci fa staremale, ma dopo un po’, visto il ripetersi del comportamento, nonresistiamo più e finiamo per litigare. A volte addirittura iniziamoa pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nell’altro, che abbiaqualche problema, che fa così perché è cresciuto in un determinatotipo di famiglia, o perché si fa condizionare da qualcuno, o chissàcos’altro.
In altre parole, non facciamo che peggiorare ancora di piùil nostro rapporto con l’altro: l’adolescente del primo esempiomagari esce di casa sbattendo la porta; l’adulto del secondo esempiofacilmente si chiuderà a riccio di fronte ai continui tentativicontrollanti da parte del partner. Così che i genitoridell’adolescente lo puniranno, magari non facendolo uscire di casa lasera seguente; e così che l’adulto controllante sentirà di avereancora più motivi per controllare il partner! Come si fa a risolvere questo circuito negativo da cui pare nonesserci uscita?
Quello che in entrambe le situazioni manca, è il tentativo dicapire la sofferenza dell’altro. Tutti noi soffriamo. Tutti desideriamo avere qualcosa che non abbiamo ancora, oraggiungere un obiettivo che ancora non abbiamo raggiunto; tuttivorremmo essere meno tristi, meno arrabbiati, meno ansiosi o piùfelici. Oppure abbiamo raggiunto degli obiettivi, ci sentiamo felici,e vogliamo che questa felicità perduri il più possibile, quinditentiamo del nostro meglio per farla durare, e tutti i nostri sforzisono diretti a mantenere questo stato di cose ed a proteggerlo datutto ciò che potrebbe andare storto. E tutto questo implica un impegno, uno sforzo, una fatica, unasofferenza. 
Perciò, quando hai a che fare con una persona che assume deicomportamenti che non riesci a capire, comportamenti che ti fannostare male, e che ti fanno pensare che quella persona ce l’abbia conte, o che ci sia qualcosa che non va in lei, prova a domandarti:"qual è la sofferenza di questa persona?". Prova apensare che quanto più quel comportamento ti fa stare male, quantomeno lo riesci a capire, maggiore è la sofferenza che lo haprodotto. 
Intendiamoci, capire le motivazioni delle azioni dell’altro non vuoldire che esse siano corrette e che quindi dobbiamo giustificarle; cipuò, invece, portare a riconsiderare la nostra idea dell’altro chefa star male noi. Nel primo esempio, l’adolescente potrebbe capire che il genitore hapaura che possa succedergli qualcosa di male, e che quindi ilsuo atteggiamento non è generato dal considerare il figlio unincapace, ma dal fatto che gli vuole bene. Deve perciòsmettere di cercare la propria autonomia? Niente affatto ma, mentrelo fa, può capire che questo può essere un processo doloroso per isuoi genitori, che il pensiero che lui possa star male e a loro toccaproteggerlo evidentemente gli procura molta sofferenza, e che quindi,forse, uscire di casa sbattendo la porta non è esattamente ilcomportamento più adatto per aiutarli (ed aiutarsi) in questomomento. 
Nel secondo caso, l’adulto potrebbe mettere in discussione l’idea cheil partner non si fidi di lui: potrebbe chiedersi, per esempio, se ilsuo comportamento non sia dettato da una forte insicurezza,dall’idea di non essere una persona abbastanza amabile, e chequindi bisogna controllare chi non vogliamo perdere altrimenti essise ne andranno. Questo vuol dire che deve accettare le continueintrusioni da parte del compagno (o della compagna)? Ancora unavolta: no, ma, invece di mettere in atto comportamenti che conferminoi timori del partner, può cercarne altri che lo rassicurino. (Naturalmente,le situazioni citate negli esempi sono utili solo per avere un’ideapiù chiara di quello che intendo dire, e non è possibile estendernele soluzioni finali a tutti i casi, che possono variare anche dimolto).
Ora ti chiedo: con quali persone ti trovi in situazioni simili inquesto periodo della tua vita? Ci sono persone il cui atteggiamento ti infastidisce, o con cui nonriesci proprio ad andare d’accordo? 
Se vuoi, prova a domandarti quale sia la sofferenza di questapersona, e fammi sapere se riesci ad ottenere qualche miglioramento. 
Se ti è piaciuto l’articolo condividilo, così che i tuoi amicipossano avere un aiuto nella gestione delle lororelazioni difficili.Grazie.

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